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Recensione di: Tatanka

06/05/2011 | Recensioni |
Recensione di: Tatanka

“Tatanka Scatenato”, titolo dalle più che ovvie suggestioni cinematografiche, è il bellissimo racconto di Roberto Saviano, inserito nella raccolta “La bellezza e l'inferno” (ed. Mondadori), che nel 2010 si è aggiudicato il prestigioso riconoscimento dell'European Book Prize come Miglior Libro Europeo. Giuseppe Gagliardi, giovanissimo quanto talentuoso regista, prende per le mani questo racconto (sua la sceneggiatura insieme a un copioso gruppo di eccellenti scrittori come Maurizio Braucci, Massimo Gaudioso, Salvatore Sansone e Stefano Sardo) e ne traspone un film di genere che, nonostante ciò, non si piega ai cliché del classico film sportivo. Storia di giovani che si accostano al pugilato con determinazione e devozione, dove palestre e “maestri” sono quel “baluardo di legalità” (per citare Saviano) nella sporcizia che la camorra dissemina nel territorio campano, e nel caso specifico di Marcianise. Storia di quel riscatto sociale che passa attraverso sudore e fatica, dove i colpi tirati sul ring sono paradossalmente l’emblema di una infinita correttezza nella quotidianità. Se nel racconto di Saviano erano le atmosfere dei “sobborghi” imbevuti di buona volontà a farla da padroni nella storia, il film si concentra su l’ascesa di uno dei tanti ragazzi che si rifugiano nella box per sfuggire alla spada di Damocle che pende sul loro collo. Michele è il suo nome, e a vestirne i panni è stato chiamato uno che di pugilato se ne intende davvero: Clemente Russo, campione del mondo dilettanti nel 2007 e vincitore della medaglia d’argento alle Olimpiadi di Pechino nel 2008. Se le sue doti attoriali possono essere quantomeno discutibili, è doveroso annotare quanto si percepisca immediatamente la devozione con la quale il pugile si sia messo a servizio di una storia drammatica e complessa, senza eccedere nel divismo ne tanto meno nella eccessiva compassione. La regia di Gagliardi è curata e dinamica, e si avvale di un lavoro di montaggio minuzioso che conduce il film verso lidi assolutamente sconosciuti all’odierno cinema italiano. Il film è la fotografia a colori di una realtà troppo spesso lasciata sbiadire anche dalle cronache dei quotidiani nazionali, che lasciano ai microcosmi locali il compito di documentare quella che per loro è “normalità”, e lo fa senza edulcorare o smorzare i toni della vicenda, come nel caso di una scena nella quale degli agenti di polizia interrogano un presunto assassino con dei metodi poco ortodossi. Lo stesso Clemente Russo, per questa scena, è stato temporaneamente sospeso dalle Fiamme Oro (arma al quale è legato per ragioni sportive), poiché il regista e gli sceneggiatori si sono rifiutati di eliminarla. Un atto oltre che coraggioso, estremamente rispettoso nei confronti della cronaca.

Serena Guidoni

 


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